Il mondo è cambiato, è stato influenzato da mode e tendenze, e sicuramente tra i protagonisti delle alterazioni c’è la televisione, che con la sua storia e il suo sviluppo ha inciso indelebilmente un segno nella trasformazione sociale contemporanea.
Una storia recente
Dal 1949, quando in Italia la Rai ha trasmesso il primo programma televisivo sperimentale, la modalità editoriale e di narrazione televisiva è molto cambiata. Negli anni ’50 in tv si presentavano programmi di garbato intrattenimento e talkshow politici, celebre a questo proposito è stato il dibattito del 1960 tra John Kennedy e Richard Nixon. A partire dal ’60 e ’70 del diciannovesimo secolo, invece, si sono introdotti parecchi cambiamenti strutturali come le immagini a colori e contenutistici quali l’emissione di programmi a contenuto sportivo, la trasmissione di film e l’introduzione dei telegiornali. Nel ’80, infine, una nuova irreversibile alterazione è iniziata con Fininvest di Silvio Berlusconi, la tv per la prima volta è appartenuta a un’azienda privata, non più pubblica, e la divulgazione è stata perentoriamente sbarazzata dallo svago.
Il pedio scivoloso della tv
L’era Fininvest rappresenta un pendio scivoloso di una forma narrativa che mira al mero divertimento dello spettatore. Durant gli anni ’80 sono aumentati i programmi dilettevoli socialmente a discapito di una serie di proposte editoriali volti alla divulgazione culturale e alla riflessione contemporanea. Le persone hanno usato la televisione con l’unico obbiettivo di divertirsi senza pensare e riflettere, i contenuti hanno lasciato il posto alla forma, proponendo in maniera sempre più preponderante il bello e non il buono. Ciò, esulando da falsi bigottismi, ha causato un irrimediabile cambiamento di massa, che ad oggi è diventato di spasmodica importanza.
Il dolore come soddisfacimento del proprio egotismo
Tra gli effetti, forse maggiormente nocivi, della trasformazione c’è sicuramente una nuova narrazione del dolore. La contemporaneità, abbonda di programmi televisivi e mediatici in cui ci si approfitta del dolore proprio e altrui, per rivendicare un protagonismo, di basse aspettative. I media sono diventati uno strumento per apparire, placando, solo momentaneamente, una fame irreversibile di egotismo. Per soddisfare il proprio ego ogni modalità è valida, compreso lo sfruttamento becero del dolore. Rispetto a interiorizzare la propria sofferenza è più importante condividerla pubblicamente. È bene, quindi, che la filosofia analizzi criticamente tale problema al fine di proporre soluzioni che curino l’anima del mondo.